LA STORIA |
Un viaggio attraverso la storia della DUCATI by Marco "Mansell"
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Il 15 gennaio 1924 Adriano Ducati riuscì, con apparecchiature radio autocostruite, a collegare la sua abitazione di Bologna con gli Stati Uniti d’America. L’eccezionale scoperta valse a giovanissimo inventore la Croce di Cavaliere della Corona d’Italia. L’impresa del ventunenne Adriano Ducati ebbe vasta eco su tutti i più autorevoli giornali scientifici del tempo. L’eccezionalità della scoperta consisteva nella minima potenza utilizzata (solo 90 watts), che rendeva l’invenzione di uso più "domestico" rispetto a quella del predecessore Guglielmo Marconi, (che impiegava l’equivalente di 2000 watts per ottenere la medesima comunicazione). Questa data può essere considerata fondamentale per la storia della Ducati perché dall’evolversi degli eventi accaduti quel giorno, si arriverà fino alla decisione di fondare quella che diverrà in futuro una delle più autorevoli case motociclistiche italiane e mondiali. Già nel 1925 i tre fratelli Ducati: Adriano (1903), Bruno (1905) e Marcello (1912), avevano istituito, assieme a Carlo Crespi, una società di fatto denominata: Società Scientifica Radio (SSR), atta a produrre i condensatori "Manens" e, successivamente, radio.
L’ing. Antonio Cavalieri Ducati, padre di Adriano, decise di incoraggiare gli studi del giovane figlio e fu così che, coi proventi della vendita di alcuni possedimenti terrieri avuti in eredità, decise la fondazione della Società Scientifica Radio Brevetti Ducati, alla quale partecipavano, oltre al già menzionato Adriano Cavalieri Ducati, il padre Antonio (che morì qualche anno dopo), il secondogenito Bruno, l'ultimo nato Marcello e alcuni amici bolognesi. La società venne costituita il 4 luglio 1926 con rogito del notaio Marani ed aveva già il moderno inquadramento di S.p.A. Il capitale sociale ammontava a 100 mila lire. Scopo principale della società era quello di sfruttare economicamente i valenti brevetti costituiti sulle invenzioni del figlio Adriano. La sede era ubicata in via Collegio di Spagna 9 e constava di tre locali presi in affitto. Gli "stabilimenti produttivi" consistevano in uno scantinato della villa di proprietà Ducati, sita in viale Guidotti 51. I fratelli Ducati iniziarono la spedizione di campioni in tutto il mondo con l'obiettivo di farsi conoscere dalle società estere. Nell’ottobre 1926 arrivò il primo cliente dall’Argentina per fare quella che venne definita come la "memorabile prima ordinazione": 3000 condensatori Manens. Alcuni anni dopo, la produzione iniziava a prendere quota e si decise di inaugurare la Scuola di Addestramento Professionale che portava il nome di Antonio Cavalieri Ducati, deceduto nel giugno 1927. Nel 1928 iniziò la diversificazione della produzione, fino allora monoprodotto. Al tradizionale condensatore fisso Manens, si affiancò quello variabile che conquistò presto un’ampia fetta di mercato grazie alla sua elevata versatilità. Il prezzo del condensatore fisso, primo prodotto dell'industria Ducati, iniziò a scendere beneficiando delle economie di scala e dell'introduzione di processi produttivi quasi totalmente automatizzati. Sempre in quell’anno si registrò il primo aumento di capitale sociale per finanziare la prima espansione del reparto produttivo; si passò dalle iniziali 100 mila Lire a mezzo milione. Venne costruito un nuovo stabilimento esattamente di fianco alla villa di viale Guidotti. L’edificio ospitava al suo interno una fonderia e molte macchine utensili di pregio. A tal proposito si ricordi la "Genevoise" (si trattava di una macchina utensile raffinatissima per la perforazione millesimale dell’acciaio). L’introduzione di questo nuovo utensile segna un secondo passo evolutivo della storia Ducati: l’ingresso nel settore della meccanica di precisione, che sfocerà in futuro nella produzione elettromeccanica ed ottica di precisione. Nel 1931 si ha il secondo aumento di capitale sociale, che passa ora a Lire 2 milioni. La società Ducati, come risulta da una monografia edita dalla Camera di Commercio, nel 1932 possedeva già un centinaio di dipendenti ed esportava il 70% delle lavorazioni in 45 paesi del mondo. Le esportazioni, sempre in continuo aumento, registrarono in quegli anni una leggera flessione a causa della politica del regime che andò ad influire sulle tariffe doganali ostacolando il commercio in divise estere. Il 7 maggio 1934 la Ducati riceve la visita del più illustre dei personaggi legati alla radiotelegrafia a distanza: Guglielmo Marconi. Il prestigio dell’SSR, giunto fino in Inghilterra, aveva spinto il premio Nobel per la fisica, a far visita all’industria bolognese. Fu l’ultima visita di Guglielmo Marconi a Bologna. Nel 1935, a neanche 10 anni dalla sua fondazione, la Ducati era già una grossa realtà italiana ed europea. Per far fronte al costante aumento della produzione si decise l’acquisto di un appezzamento di terreno pari a 120.000 mq in una posizione che potesse risultare strategica per la società. Si optò, così, per una collocazione adiacente la secolare via Emilia (capace di congiungere Bologna con Roma, Milano e i più importanti capoluoghi di provincia), nel quartiere Borgo Panigale. La prima pietra dello stabilimento venne posta, alla presenza delle più importanti autorità di Bologna, il primo giorno del mese di giugno 1935. Il nuovo stabilimento di era frutto di un progetto di grande razionalità. I lavoratori erano raggruppati in tre distinte divisioni sotto la guida dei tre fratelli:
La produzione, a sua volta, era divisa in sezioni facenti capo a ciascun prodotto. L’efficienza dei nuovi stabilimenti di Borgo Panigale fecero sì che la Ducati venisse insignita del Primo Premio per l’organizzazione scientifica del lavoro, nonché la medaglia d’oro del Premio Rusconi che premiava la migliore azienda bolognese. Il comune di Bologna deliberò, altresì, l’intestazione della strada che costeggia lo stabilimento, alla memoria ed alle opere dell’ingegnere Antonio Cavalieri Ducati. Vista la grande notorietà che si era creata, la Ducati era meta di continue visite di: scienziati, tecnici e personalità. Oltre al già citato Guglielmo Marconi, si possono elencare: il Re, il Principe ereditario, il Presidente del Senato, persino Mussolini.
All’interno dello stabilimento le radio erano prodotte ed assemblate senza l’ausilio di produttori esterni, ogni componente era creato ed assemblato in fabbrica. La Ducati si dotò di un gran numero di nuove macchine per controllo e sperimentazione, di un apposito Centro Misure Meccaniche (dotato di impianti di condizionamento a 20° costanti) fornito con le più moderne apparecchiature idonee alle prove dei metalli (trazione, durezza, flessione). Ricca era anche la dotazione di microscopi utili per le lavorazioni millesimali e lo studio della disposizione dei cristalli presenti sulle superfici metalliche. Il disegno organizzativo della Ducati era volto allo sviluppo di una grande industria di precisione. Nel 1941 venne inaugurata la Sezione Ottica, a capo di questa fu posto il professor Vasco Ronchi, direttore dell'istituto ottico di Firenze. Tallone d'Achille del nascente reparto era l'ubicazione della fabbrica. Vista la scarsezza di fornitori in zona, si doveva puntare a prodotti che richiedessero poco materiale e molta manodopera (molto specializzata all’interno della Ducati). In questo modo si minimizzavano le giacenze di materie in magazzino e si massimizzava il valore aggiunto che i prodotti venivano ad assumere per mezzo delle accurate lavorazioni che poche industrie, come la Ducati, erano in grado di fare. A lungo andare, però, le produzioni di questo reparto, pur caratterizzandosi per le avanzate soluzioni tecniche e le raffinate lavorazioni meccaniche ed ottiche, non trovarono il mercato giusto per affermarsi. Molteplici furono le cause: una di queste è rintracciabile nella mancanza di una cultura e predisposizione della popolazione bolognese, essendosi sempre caratterizzata nel settore della meccanica, anziché in quello dell'ottica. Un'altra causa dello scarso successo è da individuare nelle errate valutazioni che furono compiute dall'apparato commerciale; infine si sottovalutò la forte ed agguerrita presenza della concorrenza che attuò immediatamente delle contromosse all'affacciarsi di Ducati nel mercato dell'ottica. Il nascente campo dell'elettronica era visto di buon occhio dai fratelli Ducati. Era loro convinzione che questa nuova disciplina scientifica avrebbe dato un futuro solido all’azienda ed ampie possibilità lavorative agli italiani limitandone, in questo modo, l’emigrazione:
Grazie all’elevata forza propulsiva del nuovo settore, Bologna poteva diventare una vasta area, come la Philips in Olanda, per dare lavoro e ricchezza a centinaia di migliaia di tecnici e di lavoratori. Dal 1936 in poi, quando la produzione radio-meccanica di precisione era ormai ampiamente collaudata, la Ducati decise di iniziare una diversificazione a livello produttivo. Iniziò, così, la commercializzazione dei seguenti prodotti:
La produzione di questi nuovi elettrodomestici ed il continuo aumento delle esportazioni, richiedeva nuovi finanziamenti. Si raggiunse così la quota di Lire 12.000.000 di capitale sociale. Parallelamente sorse anche la necessità di nuovi spazi produttivi; furono, così, costruiti nuovi stabilimenti a: Crespellano, Bazzano, Salsomaggiore, Verona. È da rilevare che la Ducati, fin dalla sua nascita, era orientata verso il mercato mondiale (basti pensare alla provenienza della memorabile prima ordinazione).
Fin dal 1930 la Ducati aveva costituito proprie Società Filiali all’estero. Prima fra tutte la Filiale Argentina, sita in Buenos Aires; a Berlino la filale Ducati riforniva la Siemens, di condensatori che venivano installati nelle radio tedesche. L’ufficio di Berlino provvedeva al rifornimento dell’Austria e dell’Ungheria. Ecco un elenco delle Società Ducati all’estero, istituite come aziende e non come agenzie, attive nel decennio 1930 - 1940:
In aggiunta a queste zone, la Ducati aveva in Asia ed in Africa numerosi agenti generali che importavano direttamente prodotti dall’Italia. La Ducati si impegnò soprattutto ad istituire corsi di istruzione tecnica presso i suoi stabilimenti nella necessità di una preparazione professionale specifica per le esigenze produttive dell'azienda. I corsi si svolgevano, per la parte pratica nelle officine, mentre la teoria veniva insegnata in apposite aule; i corsi terminavano con regolari esami di profitto e rilascio dei relativi diplomi ed attestati. Nel 1941 Bruno Cavalieri Ducati inaugura a Bologna il "Corso informativo sui problemi dell'orientamento professionale". Con questa iniziativa si comprende quanto importante fu per l'azienda bolognese il concetto di elevata competenza delle maestranze. L'anno seguente vi fu l'inaugurazione alla Facoltà di Economia e Commercio dell'Università di Bologna del corso di tecnica industriale per dirigenti di aziende. Da ciò è facile capire come sia stato possibile, nel corso degli anni, la fuoriuscita di parecchi operai che hanno dato vita, nell'hinterland bolognese, a numerose medie e piccole imprese (circa 35) principalmente specializzate nella produzione meccanica ed elettrotecnica. Il 1938 fu l’ultimo anno di pace in Italia, successivamente la Ducati venne avviata al cosiddetto "Commissariato per le fabbricazioni di guerra" ricevendo molte commesse direttamente dalle Forze Armate. Uscivano dagli stabilimenti bolognesi le spolette per proiettili da contraerea, apparecchiature disincagliatrici per mitragliatrici automatiche nonché pompe di alimentazione per aerei militari. Nel settore radiotecnico vennero costruiti telefoni militari da campo e radiogoniometri. Nei primi anni ’40 era sorto il progetto di creare una centrale idroelettrica sfruttando il fiume Panaro che scorreva a pochi km dalla fabbrica. L’energia prodotta dallo sbarramento del corso d’acqua sarebbe servita per alimentare gli stabilimenti produttivi Ducati e avrebbe, senza dubbio, incoraggiato l’insediamento di nuove industrie nell’area di Borgo Panigale. A tale scopo vennero acquistate dalla Società Elettrica di Irrigazione di Modena i diritti idraulici di produzione dell’energia elettrica del Panaro. I lavori per la costruzione della diga furono avviati, ma l’anno in questione, il 1943, era caratterizzato dal mutato orientamento politico italiano che causò una massiccia presenza di tedeschi in Italia. Furono essi ad ordinare la sospensione dei lavori. Da quel momento in poi la Ducati abbandonò questo progetto che sarebbe poi divenuto fondamentale nelle vicende post belliche. Con l'esplosione della guerra, molte delle attrezzature Ducati vennero allontanate dallo stabilimento di Borgo Panigale per il timore che venissero distrutte dai bombardamenti. Durante il periodo bellico la camera di Commercio stimava in 11.000 le persone occupate all’interno degli stabilimenti Ducati. La mattina del 9 settembre del 1943 una ventina di carri armati si fermarono alle porte degli stabilimenti Ducati di Borgo Panigale. Da questi ultimi scesero parecchi sodati armati di mitragliatrice e si disposero in maniera tale da circondare l’intero edificio. Era iniziata l’occupazione tedesca in Italia. Nelle ore notturne, eludendo la sorveglianza tedesca, venivano "trafugati" macchinari di precisione da dipendenti che, trasportando con furgoni o carretti a mano il prezioso carico, mettevano a gravissimo rischio la loro stessa vita. L’opera di questi portò alla costituzione di più di 70 stabilimenti di produzione clandestini, perlopiù ubicati in piccoli scantinati o in magazzini segreti. Si trattava dei cosiddetti laboratori segreti "Post". Compito di questi ultimi era quello di prefigurarsi uno scenario, appunto, post bellico cercando di anticipare quello che sarebbe servito all’Italia della ricostruzione. La situazione era sempre più incandescente al punto che i fratelli Ducati si trasferirono fuori Bologna. Il trasferimento dei macchinari era da poco giunto a compimento, appena in tempo per scampare ai massicci bombardamenti che di lì a poco sarebbero seguiti. Verso mezzogiorno del 12 ottobre 1944, uno stormo di bombardieri scaricò cento tonnellate di esplosivo sugli stabilimenti di Borgo Panigale che ne uscirono praticamente rasi al suolo. La stima dei danni si aggirava intorno ai 450 milioni di Lire di allora. Il 3 maggio del 1945, quando ormai la guerra era conclusa, fecero irruzione, nel rifugio fuori Bologna, un gruppo di uomini armati che intimarono ai fratelli Ducati di salire su un furgoncino. Al termine del viaggio c'era ad aspettarli il plotone di esecuzione il cui capo iniziò ad accusare i Ducati di collaborazionismo con il regime fascista. Nonostante le mille spiegazioni date all’avvenimento i tre fratelli vennero condotti contro il muro di fucilazione:
A pochi istanti dalla fucilazione si udirono delle grida concitate e l’esecuzione venne sospesa. Il giorno successivo la convocazione davanti al giudice di Varese chiarì tutto ed i Ducati poterono ritornare a Bologna in libertà.
A conflitto finito, i fratelli Ducati fecero più di un tentativo per ottenere il rimborso dei danni di guerra, ma fu tutto vano. Da questo quadro stagnante dell’economia del dopoguerra iniziava a profilarsi lo spettro della disoccupazione. Verso la fine del 1946, intravedendo le maggiori difficoltà che si prospettavano per il 1947, la Ducati comunicò ai propri lavoratori la necessità di attuare un alleggerimento del personale impiegato in fabbrica. La voce: "Costo del Personale" aveva un’incidenza troppo elevata in proporzione alla produzione venduta. All’atto pratico di questa decisione non si arrivò mai, motivi sociali e nazionali ne ostacolarono l’esecuzione. Conseguentemente, nel ’47 l’azienda si trovava con le proprie riserve letteralmente prosciugate. L’assenza di liquidità bloccò il pagamento degli stipendi ai lavoratori per alcuni mesi. Il 1947 fu uno dei peggiori anni della storia Ducati. Uno dei primi ostacoli alla rinascita dello stabilimento bolognese fu il decreto di blocco del credito voluta dal Ministro del Tesoro Luigi Einaudi, per salvare la Lira dalla travolgente ondata inflazionistica che ne sarebbe scaturita. Gli istituti di credito erano tenuti a non aumentare i fidi concessi. A tutto ciò si aggiunse il razionamento dell’energia elettrica dovuto alla scarsità d’acqua dei bacini idroelettrici. Numerose furono le difficoltà legate ai precedenti trasferimenti di macchinari verso le sedi distaccate. C’erano delle opposizioni a che gli impianti ritornassero a Borgo Panigale. L’occupazione era un problema molto serio per quei tempi e la resa dei macchinari agli stabilimenti di Bologna avrebbe sicuramente fatto licenziare parecchi operai. Le diverse sedi di decentramento si erano avvinghiate alle nuove situazioni createsi e non volevano più tornare indietro. A complicare ancora di più una situazione già critica fu il Piano Marshall voluto dagli Stati Uniti per favorire la ricostruzione di un’Europa reduce dal conflitto mondiale con l'economia ormai in ginocchio. Gli orientamenti di detto piano trascuravano le industrie bolognesi (forse perché particolarmente rosse), o meglio, non le favorirono come quelle di Torino. Ultima "tegola" sulla difficile situazione alla Ducati arrivò dalla direttiva che voleva l’applicazione delle ferie quindicinali per gli operai. Ciò contribuì non poco a rallentare quella produzione che era l’unica via d’uscita dalla crisi post bellica. Tutti questi fatti, globalmente considerati, contribuirono all’insorgere di un grosso problema: la Ducati aveva urgente bisogno di denaro liquido. Nel novembre 1947, sempre per sopperire alla carenza di mezzi finanziari, venne deciso un cospicuo aumento del capitale sociale. La Ducati passò così da un capitale di 12 milioni a 100 milioni di Lire. Sempre in quell’anno vi fu un secondo aumento: si passò da 100 milioni ad un capitale sociale di un miliardo e mezzo. Vennero emesse quattordici milioni di nuove azioni aventi valore nominale di cento lire, riservate in opzione ai vecchi azionisti. Queste azioni vennero così collocate:
Un grande passo era stato fatto per la crescita dello stabilimento di Borgo Panigale. Per poter coprire l’ingente capitalizzazione la famiglia Ducati fece affluire nella società tutti i beni immobiliari, specie la residenza di viale Guidotti, e diede mandato alla Banca Nazionale del Lavoro di collocare le azioni sul mercato. Contemporaneamente, venne emesso un comunicato interno che invitava all’acquisto, da parte dei dipendenti Ducati, delle azioni della loro stessa fabbrica. Iniziava così l’epoca dell’azionariato operaio (che si riproporrà anche ai giorni nostri). La situazione aziendale, nonostante tutto, continuava ad aggravarsi; vi era la necessità di reperire la somma di un miliardo di lire. La Ducati fu costretta a rivolgersi al FIM. Il suo statuto interno subordinava l’emissione del prestito a particolari condizioni (giudicate pericolose ed inadatte). Premesse per la concessione del prestito furono:
Le richieste avanzate dal FIM al fine di corrispondere un finanziamento alla Ducati, furono accolte all’interno della fabbrica con grande stupore e diffidenza. Nonostante i ripetuti tentativi di evitare la messa in amministrazione controllata, il FIM insistette affinché eventuali futuri finanziamenti fossero gestiti da un amministratore esterno alla Società. Il 1° marzo 1948 venne chiesta, al tribunale di Milano l’amministrazione controllata. Il giorno successivo, il consiglio d’amministrazione, preso atto della situazione venutasi a creare, condivise le considerazioni dei fratelli Ducati e si dimise. Al suo posto il Tribunale di Milano nominò Commissario giudiziale il rag. Stobbia ed amministratore unico della Società il dott. Giuseppe Veroi. Adriano e Marcello Ducati furono nominati "consulenti generali" per la Società; essi rimanevano a disposizione degli amministratori per gli incarichi che avrebbero voluto affidare loro. Bruno Ducati, rimase al suo posto di Direttore Generale sovrintendendo, assieme agli amministratori, all’organizzazione esecutiva della Società. Da questo momento in poi, i fratelli Ducati persero per sempre la guida della loro impresa che passava sotto il controllo dello Stato. La Ducati riuscì a superare il periodo dell'amministrazione controllata uscendone piuttosto malconcia, soprattutto scampando al fallimento che travolse altri importantissimi marchi del Made in Italy. Si riassumono qui, assieme ad una breve descrizione, i prodotti che hanno caratterizzato l'industria Ducati nei primi 20 anni di vita:
1925 Manens. Rappresenta il primo condensatore prodotto all'interno degli stabilimenti Ducati e progettato da Adriano Ducati. Il suo nome è Manens (dal latino manere: rimanere invariato, fisso). Il campionamento di questo condensatore interessò tutti i radiotecnici del mondo. Con questo condensatore fisso a mica, inizia la produzione industriale Ducati.
1928 Condensatori variabili Ducati 201. Si tratta di un condensatore, non più fisso come il precedente, bensì variabile, a dielettrico aria. Era composto da più lamine ricavate da lavorazioni meccaniche di fresatura ad alta precisione. Questo prodotto è rimasto immutato nella sua fattura per 45 anni.
1930 Radiostilo. Il Radiostilo era un'antenna unificata anti disturbo. La Ducati inizia per la prima volta a diversificare la propria linea di prodotti uscendo dal campo primario dei condensatori per dedicarsi anche alla produzione di antenne radiofoniche. L’antenna, da molti sottovalutata, era, in realtà, uno dei principali elementi da curare per poter ottenere una eccellente ricezione soprattutto nelle aree urbane, notoriamente molto disturbate. Dopo lunghi ed approfonditi studi sull’argomento e grazie all’esperienza già acquisita in capo, la Ducati progettò e costruì il Radiostilo. Si trattava di un’unica antenna in grado di trasmettere su varie lunghezze d’onda. Non vi era più bisogno di tante diverse antenne per ogni tipo di trasmissione.
1932 Condensatore elettrolitico. Esso poteva mettere a disposizione di ogni apparecchio radio, grandi capacità elettriche, pur mantenendo un ingombro ridotto. Il prezzo era molto competitivo (questo grazie ad un processo costruttivo notevolmente semplificato) e contribuì non poco alla sua diffusione.
1935 Manens Serbatoio. La denominazione Manens continua a rimanere nei prodotti proprio per sfruttarne l’enorme notorietà acquisita in quegli anni. L’uscita di questo prodotto fu accompagnata dalla formazione di un elevato numero di radiotecnici autorizzati, attrezzati per le misure e le applicazioni di questi nuovi condensatori.
1935 Dufono. Il Dufono nasce come alternativa al telefono nelle comunicazioni interne alle fabbriche, alberghi, ospedali, cantieri, ecc. Serviva qualcosa di veloce e rapido per comunicare da un reparto all’altro senza le inevitabili perdite di tempo per la ricerca e composizione del numero telefonico. Il Dufono si configura come un impianto di comunicazione a viva voce con elevata fedeltà di riproduzione. Esso si componeva di un apparecchio principale a disposizione dei dirigenti e da un insieme di altri derivati a portata dei vari collaboratori e dipendenti. La trasmissione del segnale avveniva per mezzo di un amplificatore a potenza regolabile. Successivamente il suo utilizzo si ampliò nel campo domestico per impianti di controllo ed allarme.
1939 Apparecchi radio musicali Ducati. Nel 1939 la Ducati iniziò la fabbricazione di apparecchi radiofonici. Fu Marcello Ducati a disegnare la struttura in collaborazione con i maestri liutai di Cremona. Una curiosità, a causa di problemi in merito all'approvvigionamento del legno dovuti alle sanzioni del periodo prebellico si optò per l'utilizzazione di legname sardo.
1940 Raselet. Il Raselet costituisce il primo rasoio elettrico italiano. Si decise di acquistare un brevetto statunitense per poi attuare una produzione in serie negli stabilimenti di Borgo Panigale. La realizzazione fu minata da innumerevoli problemi tecnici che rinviarono l’uscita sul mercato fino al 1940, anno di lancio, accompagnato da una riuscita e divertente campagna pubblicitaria, la quale recitava:
Il Raselet non ebbe in Italia una grande diffusione: l'italiano medio preferiva radersi con la tradizionale lametta. In seguito il prodotto venne esportato in Germania dove riscosse notevole successo.
1941 Microcamera Fotografica Ducati. A partire dagli anni ’40, la Ducati entrò nel campo dell’ottica e lo fece producendo una macchina fotografica dal formato 18x24 mm. La precisione meccanica dell'apparecchio era notevole, in più vi erano soluzioni avanzatissime per quei tempi, come il rapido otturatore a tendina e la possibilità di disporre di obiettivi intercambiabili. Essa rappresentava il connubio fra la meccanica di precisione che aveva sempre contraddistinto la Ducati ed il nascente reparto ottico, diretto e coordinato dal professor Ronchi di Firenze. Purtroppo la microcamera ebbe durata breve: l'alto costo, il piccolo formato della pellicola che creava problemi nello sviluppo e nella stampa fotografica, diedero luogo a elevate difficoltà di commercializzazione. Come se ciò non bastasse, ordini del FIM imposero la sospensione del reparto ottico.
1941 Proiettore cinematografico Ducati. La seconda realizzazione del reparto ottico fu questo proiettore a passo ridotto: 16 mm. Adatto per la proiezione in sale cinematografiche, esso permetteva un filmato ininterrotto di 45 minuti con pellicole mute o dotate di sonoro. Era compatibile con le attuali pellicole utilizzate nei cinematografi, sia in bianco e nero che a colori.
1942 Duconta. Costituisce l’evoluzione delle macchine calcolatrici scriventi. Si trattava, più precisamente, di una elettroaddizionatrice scrivente, la prima costruita in Italia. Era costituita da un gran numero di pezzi fra loro assemblati (circa mille) che impegnavano le maestranze della Ducati in un lungo lavoro di assemblaggio di precisione. Furono venduti pochissimi esemplari di questa macchina perché la commercializzazione di questo modello iniziò pochi mesi prima dello scoppio della guerra. Numerosi esemplari di Duconta rimasero seppelliti fra le macerie conseguenti al primo bombardamento aereo degli stabilimenti di Borgo Panigale.
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2. Dal passaggio di gestione ai primi anni ’80 | |
Quando avvenne il cambio di amministrazione Ducati-Veroi, la situazione aziendale della Ducati era la seguente: il capitale sociale ammontava a 1,5 miliardi, 4,6 miliardi di Lire era il valore iscritto in attivo contro 2,9 miliardi di passivo. L’ammontare dei rapporti debitori era di Lire 523.279.483. Tutti i finanziamenti concessi erano garantiti da ipoteca sui beni della società. Gli operai impiegati erano 4300 e la produzione era dislocata in 10 impianti produttivi siti prevalentemente nel nord della penisola. Le ordinazioni ancora da evadere erano pari a 2,5 miliardi, equivalenti a circa un anno di ininterrotta produzione. Con la "nuova gestione" la Ducati si presentava così suddivisa:
La produzione Ducati si divise principalmente nei due stabilimenti di Bologna e Milano. Nel primo si produceva il Cucciolo (di cui si dirà più avanti), i condensatori, la microcamera fotografica ed il proiettore cinematografico. Nel secondo erano prodotti gli apparecchi radioricevitori, apparecchi "Dufono", amplificatori, altoparlanti. Gli altri stabilimenti minori producevano rispettivamente: a Cavalese, fabbricazione di lenti oftalmiche, a Pianezza, fabbricazione di calibri ed utensili, a Vicenza, fabbricazione di mozzi per ciclomotori e a Bazzano produzione di dinamo per biciclette.
Con la nuova amministrazione vennero subito attuati dei cambiamenti. La linea di azione deliberata verteva su quattro punti principali:
Le intenzioni del FIM erano quelle di chiudere il reparto ottico dell’azienda. Nell'estate 1953 il FIM pretende di licenziare 900 dipendenti, ma vi è una decisa opposizione delle maestranze interessate. La reazione degli operai fu quella di occupare gli stabilimenti ed in conseguenza di ciò, la direzione ordinò la sospensione dell’attività produttiva. Le trattative fra direzione ed operai si protrassero per parecchi mesi fino a quando si arrivò ad approvare la decisione di scindere in due la produzione della Ducati, da una parte le costruzioni elettrotecniche e dall’altra quelle meccaniche, mentre la divisione ottica aveva cessato di esistere. Nacquero, dunque, in data 28 ottobre 1953, due nuove società per azioni:
La prima società Ducati, quella costituita nel 1926, venne messa in liquidazione. Il 31 dicembre 1959 vi fu lo scioglimento del FIM e le partecipazioni Ducati da esso possedute vennero cedute in comodato alla Finanziaria Ernesto Breda (EFIM) che mise subito in vendita lo stabilimento elettrotecnico. L'acquirente fu la società MAIL di Milano assieme alla francese CSF (Compagnie Sans Fils). La Ducati venne così divisa in due tronconi: la Ducati Meccanica S.p.A. e la Ducati Elettrotecnica Microfarad S.p.A. Da questo momento in poi la storia della Ducati si può suddividere rispettivamente nella storia dei due rami in cui venne separata.
La Ducati Meccanica proseguiva la strada, iniziata col Cucciolo, con la produzione di ciclomotori e motocicli. A tal scopo venne assunto nel 1954 l'ing. Fabio Taglioni proveniente dalla Mondial. Diverrà il capo progettista di tutti i motori da corsa (dai quali sono poi derivati un gran numero di motori di serie) prodotti a Borgo Panigale fino ai primi anni '80. Nel 1959 la Ducati era la regina incontrastata delle competizioni mondiali.
Nel 1958 l'ing. Taglioni progettò il famoso motore "desmodromico" che sfruttava una doppia camma comandata meccanicamente per gestire l'apertura e la chiusura delle valvole motore (le prime prove di questo tipo di motore vengono attribuite all'inglese Arnott, nel 1910). Con esso si migliorava l'erogazione della potenza e si riducevano le rotture delle parti meccaniche in movimento. La commercializzazione del nuovo propulsore ebbe inizio a partire dagli anni '60 e costituirà, per il futuro, l'emblema della produzione motoristica di Borgo Panigale. Nel 1960 fu sospesa ogni partecipazione alle corse perché Breda ed Isotta Fraschini riorientarono la Ducati alla produzione di motori diesel, motori marini e gruppi elettrogeni, mentre le moto passarono in secondo piano. Sempre in quell’anno venne costruito un nuovo stabilimento di oltre diecimila metri quadrati, da adibire ad officina. Gli anni '60 furono caratterizzati da una crisi del settore particolarmente accentuata. Le motivazioni a cui ricollegarsi sono, grossomodo, le seguenti:
Ne scaturì una pesante contrazione delle vendite che nel decennio 1960-70 ebbero un crollo quantificabile intorno al 68%.
Negli anni '70 vi è l'ondata di moto giapponesi che progressivamente avrebbero invaso il mercato italiano. Capostipite di questa vera e propria offensiva era la Honda con il modello 750 Four, presentata alla Fiera di Milano nel 1969. Si trattava di una moto con caratteristiche decisamente innovative per quell'epoca. L'invasione non riguardò solo l'Italia, ma tutta l'Europa. Numerose furono le aziende costrette a capitolare sotto "l'onda d'urto" nipponica. La Ducati, dal canto suo, iniziò nel 1968 la produzione di un motore bicilindrico a V 90° che resterà in produzione fino ai nostri giorni.
Agli inizi del 1970 fece il suo esordio, nei cataloghi della Ducati, il modello Scrambler che incontrò in Italia ed all'estero un grande favore di pubblico grazie alle sue linee originali e vagamente americaneggianti. Esso fu proposto in tre tipi di motorizzazioni: 250, 350 e 450. Alla fine del decennio era scontro aperto fra gli unici due schieramenti rimasti in lizza nel mercato della moto: italiani e giapponesi. Dalla metà degli anni settanta la produzione Ducati iniziò ad orientarsi sulle grosse cilindrate (600 cc ed oltre) specializzandosi nella produzione di supersportive caratterizzate da designer di fama indiscussa come Giugiaro. La Ducati meccanica pur attraversando momenti di grave deficit finanziario, si ritagliò una certa quota di mercato sia nazionale che estera, conservando la sua vocazione sportiva e mantenendo una costante presenza a livello agonistico sia in Italia che all'estero. Va menzionata anche la diversificazione in motori marini entrobordo e fuoribordo nonché la produzione di motori industriali e diesel. In linea generale, negli anni 70 la crisi del comparto motociclistico non accenna a diminuire, è l’automobile la nuova passione dei giovani. La Ducati meccanica, dopo una serie di passaggi ministeriali passò nelle mani della VM del gruppo Finmeccanica IRI. Sotto la gestione di Romano Prodi, l’IRI nel 1983 cedette la Ducati Meccanica ai fratelli Castiglioni di Varese, già proprietari della Cagiva S.p.A. Essi accentrarono in Bologna anche la direzione commerciale della loro azienda, facendo del capoluogo emiliano uno dei più grossi centri europei del settore motociclistico.
Sull'altro fronte, la Ducati Elettrotecnica era diretta, all’epoca della sua nascita dall’ing. Valerio Bochi, di nomina FIM. Essa continuò la produzione di condensatori, impianti radiofonici ed interfonici, proiettori e radioapparati vari. Nel 1960 si ebbe il passaggio alla Fianziaria Breda, che nel giro di poco tempo decise di vendere il pacchetto azionario al gruppo francese CSF, con sede a Parigi. La direzione fu assunta dall’ing. Antonio Guglielmi, il quale decise massicci investimenti per incrementare il reparto tecnico produttivo e commerciale. Alla fine degli anni sessanta la Ducati Elettrotecnica possedeva 3000 dipendenti all’attivo e la sua produzione si era estesa ai magneti volano per motocicli, nonché gli alternatori per motori di autoveicoli e motocicli, ricetrasmettitori e tuner (componenti per la ricerca di emittenti negli apparecchi televisivi). Nel 1966 vi fu l’assorbimento della Microfarad di Milano e la conseguente nuova denominazione sociale: Ducati Elettrotecnica Microfarad. Sempre in quel periodo la francese CSF viene acquistata dalla Tomhson, che ne assunse la direzione. E’ in questo periodo che iniziano importanti accordi commerciali con la Russia per la fornitura di condensatori elettrolitici ed a rifasamento. Con l’inizio degli anni ’70 si ebbero i primi focolai di contestazione operaia che minacciarono gravemente la stabilità produttiva. A ciò si aggiunse l’invasione dei prodotti del sud est asiatico e la crisi energetica del 1974 che portò l’inflazione a livelli esorbitanti. Nel 1975 la CSF mise in liquidazione la Ducati Elettrotecnica e ne chiese l’amministrazione controllata. Il Ministro delle Partecipazioni statali Donat Cattin affidò alla Zanussi di Pordenone l’acquisto della Ducati. Fu così che venne eliminato il nome Microfarad per ritornare all’originaria denominazione ed in più vi fu l’incorporazione della Procond di Longherone, anch’essa dedita alla produzione di condensatori. Nel 1979 la Ducati Elettrotecnica S.p.A. attuava la produzione in tre stabilimenti: Bologna Longarone e Pontinia (Latina). Essa era strutturata al suo interno in tre divisioni: Divisione Componenti, per la produzione di condensatori; Divisione Elettronica, per la produzione di radio apparati, infine, Divisione Elettromeccanica che curava la produzione di impianti di accensione. All’inizio degli anni ’80 vi fu la crisi della Zanussi, che venne rilevata dalla svedese Elettrolux, la quale, però, non era interessata all’acquisto del pacchetto Ducati. Per poter vendere la fabbrica si attuò una seconda divisone. Nel 1984 nascono a Pordenone due nuove società dalla precedente Ducati Elettrotecnica:
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3. Ducati Cucciolo, l'inizio di un mito. | |
La nascita del Cucciolo fu particolarmente avventurosa. Durante la Seconda Guerra Mondiale viveva a Torino l'Avvocato e scrittore Aldo Farinelli, collaboratore della nota ditta S.I.A.T.A. (Società Italiana Applicazioni Tecniche Auto-Aviatorie). Subito dopo l'armistizio del 1943 l'Avv. Farinelli iniziò in segreto e contro le direttive del Governo (la guerra era ancora in corso) il progetto di un motore ausiliario di piccola cilindrata, da applicare senza particolari trasformazioni al telaio di una comune bicicletta. Egli aveva infatti compreso la necessità di un mezzo di trasporto piccolo, semplice ed affidabile, adatto a soddisfare il bisogno di mobilità che si sarebbe creato al termine del conflitto. Le difficilissime condizioni economiche non avrebbero permesso a molti l'acquisto di un mezzo più costoso, non solo per il prezzo, ma per la difficoltà di procurarsi il carburante: obiettivo essenziale era perciò garantire il minimo consumo possibile. Tale caratteristica poteva essere raggiunta solo da un piccolo motore a quattro tempi, capace di adattarsi a svariati tipi di combustibile grazie ad un basso rapporto di compressione (Rispetto alla concorrenza il Cucciolo era più potente e consumava pochissimo: 100 km con un litro in condizioni ideali). Altre caratteristiche di questo propulsore erano: il raffreddamento ad aria della testata, il blocco motore in lega leggera Silumin, che permetteva all'unità motrice di non superare i sette kg di peso. La cilindrata era di 48 cc ed i cavalli erogati erano 1,5, gestibili al meglio per mezzo di un cambio a due rapporti. Dopo aver raccolto materiali sufficienti a costruire il primo esemplare del micromotore, nel 1944 l'Avv. Farinelli collaudava il prototipo del Cucciolo sulle strade di Torino. Trascorsi i primi mesi di commercializzazione del modello T1, fu subito evidente, visto l'elevato numero di richieste, che la SIATA, in sé considerata, non sarebbe riuscita a far fronte alla crescente domanda. É a questo punto che entrò in scena la Ducati di Bologna. Pagate le dovute royalty alla ditta torinese, apportò alcune modifiche al modello (che ora aveva la sigla "T2") ed iniziò la produzione su larga scala.
Il "bicimotore" (così venne in seguito ribattezzato) Cucciolo fu il primo prodotto Ducati uscito dagli stabilimenti al termine della guerra. Esso rappresenta il capostipite di tutta la produzione motociclistica successiva. Il Cucciolo costituì un'innovazione nel campo del motociclismo, mai nessuno prima di allora aveva avuto la geniale intuizione di abbinare un propulsore ad una bicicletta. L'impennata di vendite era da imputare alle sue caratteristiche di semplicità, duttilità ed estrema leggerezza. I dati possono chiarire meglio l'entità di questo successo: alla fine del 1946 i propulsori circolanti in Italia erano all'incirca 15.000 (senza contare le unità vendute all'estero). Nel 1949 i dati facevano registrare 60.000 unità vendute. In conseguenza di ciò iniziarono a fare la loro comparsa alcuni concorrenti imitatori come la Garelli con il suo "Mosquito". Nonostante l'offensiva degli avversari, la Ducati manteneva elevati i suoi ritmi di produzione tanto è vero che le statistiche del reparto produttivo facevano ammontare a 200.000 le unità prodotte e vendute in tutto il mondo. Giornalmente si arrivarono a produrre 245 esemplari con una media di uno ogni due minuti. Nel 1947 si decise per l’esportazione in USA. Grazie alle vendite di questo propulsore, la Ducati riuscì a risollevare le sue sorti seriamente compromesse dalla guerra e dalle crisi finanziaria che seguì. Il Cucciolo fu accompagnato da una campagna pubblicitaria piuttosto insolita. Per rendere più familiare questo motore, si decise di scrivere una canzone che avesse ad oggetto il Cucciolo. Fu così che il Maestro Oliviero compose: "Ti porterò sul Cucciolo", gradevole motivetto che divenne ben presto famoso in tutta Italia. Altra importante promozione per il 48 cc. di casa Ducati furono le competizioni. Nel 1948 vinse il primo G.P. Città di Milano. Sempre in quell’anno per il Cucciolo è alla conquista del record mondiale di durata su pista a Buenos Aires; dopo 36 ore di gara, il motore Ducati si trovava solo ed incontrastato vincitore della competizione. In data 7 agosto ’48 Tironi Giancarlo percorre 1500 km in sella ad un Cucciolo sovraccaricato di 140 kg di bagaglio per affrontare le cinque settimane di viaggio. Il Cucciolo, alla guida dell'entusiasta Ugo Tamarozzi e di altri bravi piloti, tra cui Glauco Zitelli ed Alberto Farné, riuscì a stabilire un'incredibile serie di record mondiali (27) sulla distanza per la categoria 50 cc. Al Cucciolo 50 cc. seguì, nel 1952, la versione di 60 centimetri cubici, che costituiva la prima moto leggera Ducati. Ad essa si abbinò la produzione di un telaio ammortizzato. Altri costruttori, tra cui la famosa Aero Caproni (su progetto dell'Ing. Capellino), realizzarono telai molleggiati più evoluti predisposti per il montaggio del motore Cucciolo. Lo stesso motore, inoltre, fu impiegato come fuoribordo per piccole imbarcazioni e si progettò di utilizzarlo anche per un motocarro con una portata di 200 Kg. Le evoluzioni di questo modello continuarono fino al 1952.
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4. Storia recente, modifiche dell’assetto societario negli ultimi venti anni. | |
Nonostante la capacità di innovazione tecnologica e le vittorie nelle competizioni sportive, 1’azienda Ducati attraversò un periodo di declino nel corso dei primi anni ’80, principalmente a causa della decisione di diversificare la produzione nel settore non motociclistico, orientandola prevalentemente verso i motori diesel di piccola cilindrata. La Ducati Meccanica che dal 1970 faceva parte della Finmeccanica (IRI) aveva una produzione nel 1982 di soli 7.800 motocicli, contro una capacità produttiva di 9.000 ed una previsione di produzione per il 1983 di sole 6.000 unità.. Dal lato finanziario le cose non andavano meglio: il deficit faceva sentire il suo peso. Nel 1985, il Gruppo Cagiva acquista 1’azienda ed il marchio Ducati. Sotto la gestione Cagiva, 1’azienda Ducati operava tramite un impianto produttivo separato ed un’autonoma divisione di ricerca e sviluppo, mentre condivideva la progettazione, la gestione finanziaria, il marketing, la rete di vendita e i sistemi informativi di gestione. Il Gruppo Cagiva contribuì a rafforzare il marchio Ducati rivolgendo 1’azienda verso la tradizionale attività di produzione di motociclette da corsa ad alte prestazioni e fu in grado di aumentare in misura rilevante il volume annuale delle vendite. Il contratto prevedeva, in particolare, la progettazione, produzione ed assemblaggio dei motori (i Pantah desmodromici) nello stabilimento di Borgo Panigale. Non venne modificata la produzione di motori diesel industriali (motopompe, gruppi elettrogeni, motozappe, ecc.) costruiti per conto della ditta VM e motori diesel per autovetture (Alfa Romeo e Rover). L’azienda Ducati condivideva con le altre società del Gruppo Cagiva la gestione finanziaria. In questo contesto, i flussi di cassa generati dalla gestione operativa dell’azienda Ducati contribuivano all’autofinanziamento del gruppo di appartenenza. In conseguenza di dette modalità di gestione finanziaria, a partire dal 1995 problemi di liquidità esterni all’azienda Ducati privarono la stessa del necessario capitale circolante, questo comportò la dilatazione degli abituali termini di pagamento delle forniture. Alcuni fornitori ridussero l'afflusso di parti e componenti, provocando nel 1996 significativi ritardi nella produzione. In data 25 luglio 1996, la Ducati Motor Holding S.p.A. (interamente controllata da TPG Acquisition L.P.) ha sottoscritto un contratto in base al quale la Società avrebbe ricevuto l’azienda di Borgo Panigale, nonché i relativi motori e componenti. Tale attività era all’epoca gestita dalle società Ducati Motorcycles S.p.A., per la parte industriale, e Cagiva Trading S,p.A. per la parte commerciale, oltre che dalla Cagiva North America, Inc. (ora Ducati North America, Inc.) incaricata della distribuzione delle motociclette del Gruppo Cagiva in America settentrionale. La Ducati Motor Holding S.p.A. ha deliberato, sempre secondo accordi, in data 4 settembre 1996 un aumento di capitale, da liberarsi in parte in denaro e in parte mediante conferimenti in natura. La TPG Acquisition ha effettuato il versamento della somma di Lire 71,2 miliardi (pari al 51% del capitale sociale) a titolo di totale liberazione dell’aumento di capitale ad essa riservato con delibera del 4 settembre 1996. Il 26 settembre 1996, la Ducati Motorcycles S.p.A. ha sottoscritto la parte da liberarsi in natura dell’aumento di capitale della Ducati Motor Holding S.p.A., per un ammontare di Lire 68,6 miliardi (pari al 49% del capitale sociale), mediante conferimento del proprio ramo d’azienda operante nella produzione e commercializzazione di motociclette. Il ramo d’azienda conferito risultava composto da attività per circa Lire 185,3 miliardi e passività per circa Lire 116,7 miliardi. Sempre in data 26 settembre 1996, la Ducati Motor Holding S.p.A. ha acquistato dalla Ducati Motorcycles S.p.A. il ramo di azienda comprendente i marchi "Ducati" e il relativo avviamento per un corrispettivo di Lire 192,2 miliardi, a cui deve aggiungersi un pagamento alla Cagiva S.p.A., di Lire 15 miliardi a titolo di patto di non concorrenza. Il 24 ottobre 1996, la Ducati Motor Holding S.p.A. ha conferito la quasi totalità delle attività e passività dell’azienda Ducati alla propria controllata, la Ducati Motor S.p.A. di cui possiede la totalità del capitale. Quest'ultima ha quindi continuato l'opera di produzione di motocicli, mentre la reggente Ducati Motor Holding svolgeva, da quel momento in poi, la sola funzione di società capogruppo nella gestione delle varie aziende controllate. In seguito, la TPG Acquisition ha ceduto una quota del 10% del capitale della Ducati Motor Holding S.p.A. alla Motorcycles Investment, in base ad accordi precedenti all’Acquisizione. Fin dall’Acquisizione, il Gruppo Ducati ha dato attuazione ad un piano strategico di rilancio, nel contesto del quale ha provveduto all’integrale e immediata estinzione delle obbligazioni di pagamento nei confronti dei fornitori, sì da consentire la regolare ripresa delle forniture. Il Gruppo ha sostanzialmente aumentato gli investimenti in capitale circolante allo scopo di incrementare la produzione, ha rilanciato il settore ricerca e sviluppo ed ha ricostruito l’immagine Ducati e la rete distributiva. L’attuazione del piano strategico di rilancio ha consentito l'aumento della produzione, del fatturato ed ha migliorato il risultato della gestione. In data 30 luglio 1998, la TPG Motorcycles Acquisition L.P. ed altri investitori (Motorcycles Belgium, Motorcycle Investment S.à.r.l. e Cefisio), hanno acquisito dal Gruppo Cagiva il rimanente 49% della Ducati Motor Holding S.p.A. per Lire 277,5 miliardi.
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Redazione del testo ed immagini ad opera di Marco "Mansell". La riproduzione anche parziale del materiale qui riportato è severamente vietata senza espressa autorizzazione dell'autore.
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